Lalibela

È un luogo che non dà spiegazioni, prende e affascina, è un luogo dell'anima. Raggiunsi Lalibela, la città santa cristiana copta-ortodossa etiope chiamata anche la Gerusalemme del Corno d'Africa durante la notte dell'Asika (resurrezione), la veglia pasquale del sabato santo. Nel buio più avvolgente, dentro e fuori le chiese monolitiche che nascono e prendono forma direttamente dalla roccia, ho incontrato pellegrini avvolti nei loro teli bianchi, donne e uomini, deboli per il digiuno totale previsto dalla religione, sdraiati o appoggiati al bastone della preghiera, che partecipavano alle cerimonie sacre recitando onde sonore, accompagnate dal ritmo di tamburi e sistri, e da danze rituali. Tutto si svolgeva nelle tenebre, con la sola luce delle candele accese, e si respirava un'atmosfera di profonda religiosità e di estrema suggestione. Lalibela, villaggio situato tra monti di difficile accesso dell'Etiopia del nord, è meta di pellegrinaggio e luogo di preghiera: le sue undici chiese rupestri sotterranee sono sorprendenti luoghi mistici in cui si rivela tutto lo splendore della religione copta. Ogni chiesa è costruita in un unico blocco di pietra ancorato alla roccia, lavorato dall'esterno e traforato per ottenere porte, archi, colonne e decori: ciascuna di queste architetture monolitiche è un'opera d'arte, un monumento in pietra alla religiosità. La creazione di questo capolavoro, segnalata anche come ottava meraviglia del mondo, si deve al mitico Re Lalibela che, circa 800 anni fa, volle ricreare i luoghi teatro della Passione e Resurrezione di Gesù. E ordinò l'edificazione di questo straordinario complesso che per lungo tempo ha rappresentato il baluardo della cristianità in terra musulmana. La leggenda narra che la notte, quando gli uomini, stremati, si addormentavano, gli angeli continuassero a scavare nel tufo i templi, ritenuti oggi Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco.